VERSO L'AVVENIRE

Serghey apre gli occhi, prima che la sveglia suoni, lo ha sempre fatto lo aveva imparato sotto le armi.
Era solito svegliare la propria compagnia in quanto da caporale prima e da istruttore poi, quello era uno dei suoi compiti.
Ultimamente apriva gli occhi e gli servivano parecchi secondi per ricordarsi dove era e a che punto fosse la sua vita. In poche settimane era successo talmente tanto che nessun uomo avrebbe retto il colpo...e si da il caso che lui non lo fosse, era qualcos'altro, come i suoi fratelli.

Nella propria vita chiunque si ferma per un'attimo a fantasticare e formula quel pensiero, ogni singolo uomo lo fa, fantastica sull'essere diverso dagli altri , speciale. Serghey no. Mai fatto, d'altronde era un soldato, uno fra milioni prima nell'Armata Rossa poi nell'Esercito Federale Russo. milioni, come cloni...lui che i cloni li aveva davvero. Tutte le mattine Serghey si sveglia e fissa il vuoto freddo della stanza, lame di luce fredda attraversano le assi di legno malfermo che formano le persiane, flash dolorosi gli balenavano davanti agli occhi, rapidi fotogrammi delle battaglie contro gli spaziali che aveva affrontato mesi fa ormai. Prima i suoi incubi ad occhi aperti parlavano della cecenia, di Grozny distrutta, di quelli che un tempo erano suoi vicini, parenti e concittadini che all'improvviso diventarono nemici della patria, nemici della rivoluzione e bisognosi di essere riportati nel grembo sovietico (queste furono le parole di Gorbaciof a quel tempo...più o meno)...ora gli incubi avevano  le fattezze di enormi robot dai colori scuri ed inquietanti che cercavano di ucciderlo con i loro laser e come per quello strano ricordo in cui si vide con una pallottola in testa anche in questo caso Serghey si ricordava nitidamente di essere morto...Chissà se da qualche parte aveva un numero di serie, un chip (oltre al "marchio del pilota"), un codice,  magari sotto pelle o dietro una palpebra. Clone o originale, ricordi veri o falsi che siano, ora lui è in quel letto, a fissare il soffitto rischiarato dalla fredda luce dell'alba canadese e dalla luce rossa intermittente della radiosveglia. Voltandosi sul lato e facendo forza sulle braccia si alza stancamente dal letto e si ricorda dove si trova. I contorni della cucina-salotto si facevano sempre più nitidi e mentre la luce al neon singhiozzando si accende del tutto, il russo aveva già disinserito l'allarme della sveglia e si stava dirigendo verso la dispensa. L'odore della tequila da quattro soldi gli risalì dall'esofago al naso e per poco non solo quello, il bello della compianta vodka, un bene esotico tra quei boschi, era che ti stendeva ed il mattino dopo ti sentivi fresco come un bambino dopo il riposino... o almeno a lui faceva quell'effetto. La sera beveva come aveva sempre fatto, prima, in Russia per dimenticare, ora per ricordare, sommessamente ogni volta che batteva il bicchiere con Miamoto, mentre Johnson scuoteva il capo ed il piccolo Taiji ridacchiava lui brindava alla memoria di ogni singolo uomo che la sua memoria riusciva ad evocare che era morto in quella guerra, così si faceva dalle sue parti, così si faceva nell'Armata Rossa.
Si dette uno scossone come per svegliarsi, stava facendo troppo rumore per mettere al fuoco un po di caffè, Glie ne serviva per svegliarsi e riuscire ad affrontare la giornata. Sarebbe ritornato solo a sera, quasi 12 ore di lavoro compresi gli straordinari per nemmeno 80 dollari canadesi, la vita era difficile, lo era sempre stata da quelle parti pare ma dopo la guerra ancora di più, molta gente aveva perso il lavoro per via dell'acuirsi della crisi, anche in questo angolo remoto e tranquillo di mondo lontano dalla guerra gli spaziali hanno fatto danni.
Con la tazza fumante in mano ed il sapore scialbo ed amaro del caffè lungo che scendendo lungo la gola combatteva e vinceva contro la tequila, Serghey, guardando verso la foresta innevata ed ancora buia pensa ai propri amici ancora addormentati nei propri letti. Faticosamente come lui si stanno preparando ad una vita da fuggiaschi, costretti in una nuova menzogna non dissimile in quella in cui erano vissuti fino a qualche mese fa. Il piccolo Taiji aveva cominciato la scuola qualche giorno prima, finalmente sarebbe stato come tutti gli altri bambini , frequentando una scuola, avere amici della sua età e poter giocare.
Con il tempo sarebbe cresciuto e avrebbe preso una cotta per una  compagna di classe, solo loro  sapevamo che c'era ben altro ma per ora andava bene così, l'importante era che vivesse la sua vita come era giusto che facesse, che si riprendesse tutto ciò che gli avevano tolto.
L'ex soldato era così fiero di quel bambino che aveva visto crescere così rapido e fulgido davanti ai suoi occhi nell'ultimo anno, era orgoglioso proprio come se fosse stato suo padre, certo non lo sarebbe mai potuto essere ma in cuor suo a lui non importava, lo aveva protetto e talvolta era stato lui a togliere Serghey dai guai.
Un rumore lo fece trasalire, istintivamente portò la mano al fianco come a cercare la fondina che non c'era. Vide passare ad alcuni metri dalla finestra Jhonson che si stava dirigendo verso il cuore della foresta a piedi con solo uno zaino in spalla ed una torcia in mano, incassato nel giaccone come solo chi non è abituato al freddo fà, Serghey sapeva dove stava andando, mesi prima, in cerca di un luogo dove nascondersi avevano trovato grazie ai sensori degli rg un'enorme complesso di grotte tra le pendici della montagna vicino Whitehorse, sembrava sconosciuto in quanto non segnato su nessuna mappa e decisero di utilizzarlo come hangar per i colossi, ebbero fortuna in seguito a trovare in vendita la piccola casa non troppo lontano da un  entrata nascosta del complesso.
Johnson affrettava il passo inconscio di essere osservato. Il russo sapeva bene che per il californiano essere all'area 51, in California, Canada o Marte non faceva differenza. Johnson era ancora in missione ed era questo che contava. I quattro piloti hanno ricevuto sulle proprie spalle il peso della memoria e di farsi guardiani del nuovo corso dell'umanità, questa difesa dovrà essere fatta con la ragione e con la forza e Johnson lo sapeva, stava lavorando febbrilmente con Miamoto per aggiustare la corazza ed i sistemi d'arma dei Aere per renderlo operativo il più il più in fretta possibile, un soldato sa bene che è impossibile prepararsi in maniera perfetta ma aspira a farlo al meglio nel più breve lasso di tempo possibile. Serghey capiva  il punto di vista e condivideva il desiderio di combattere ma a differenza dell'altro, il russo non lo faceva per un senso di dovere ma perché appunto stanco di lottare per ordini altrui voleva difendere la propria libertà e le proprie idee. Sapeva che questo avrebbe voluto dire d'ora in poi avere problemi con lo yenkee per il modo in cui verranno affrontate le cose ma a lui non importava, nonostante non si stessero particolarmente simpatici,  avevano imparato a convivere e addirittura a rispettarsi, chissà se un giorno sarebbero diventati anche amici.
Colui che aveva perso molto invece era Miamoto, il ragazzo, strappato dal suo mondo era stato arruolato appositamente per il progetto Difesa Terra, aveva perso il proprio impiego all'università di Tokio e si era ritrovato senza più in'identità come tutti loro e poi in quel buco dimenticato da Dio. In più aveva perso qualcosa di più importante: il proprio equilibrio. Serghey ne aveva visti tanti come lui sotto le armi, anche di più coraggiosi e sbruffoni che dopo il primo combattimento, quando vedevano le cervella del loro compagno d'armi colargli sulle ginocchia in mezzo al fango si incrinavano,  bevevano e uscivano fuori di testa. A quel punto l'unico modo di reagire era quello di diventare insensibile a queste cose, farci il callo, diventare una macchina di morte scola vodka, come era capitato al russo molto tempo addietro...o fare come il giapponese che stava lentamente cadendo a pezzi.
Per fortuna il ragazzo stava reagendo in qualche modo, certe volte lavorava in un'officina in paese come elettrauto o giù di li...
Un pesante passo e lo scricchiolio delle assi di legno gli ricordarono chi stava sopraggiungendo. Due pesanti e larghi piedi sorreggevano un corpo tozzo e muscoloso, due grosse braccia finali con due mani sproporzionate ed incredibilmente forti non riuscivano a distogliere l'attenzione dalla testa, Incassata e senza collo adorna con una larga bocca fornita di decine decine di denti, tutti simili ad incisivi ed un inquietante occhio centrale alla fronte sfuggente, che si apriva con palpebre verticali.
La pupilla lo fissava immobile, penetrante, curiosa. Sergjiey ricambiò lo sguardo, immobile. Entrambi ebbero l'impressione di guadarsi allo specchio, oltre l'aspetto. Le creature, simbiosi di Taijera, non parlarono ma si capirono, silenziose ed ieratiche, aliene a qualsiasi mondo ripresero quello che stavano facendo, Taija aspettava e cresceva e Sbarzoff...a prepararsi il caffè.

L'avviamento a pedale come sempre faceva capricci, d'altronde la moto, una vecchia Husqarna era scassata e probabilmente ne aveva viste tante quante i loro RG ma quel giorno partì stranamente al terzo colpo, troppo veloce per permettere a Sergjiey di uscire fuori a prendere a pugni Mark che gli stava fregando la moto con la quale sarebbe dovuto andare a lavoro.
Rassegnato ormai, ancora con il sottofondo del motore che sgassava lungo il sentiero, il russo rientrando in casa finì di vestirsi, prese la pesante sacca con il pranzo, la motosega e la scure e stretto nel pesante giaccone si avviò lungo il sentiero che porta alla statale, da li sarebbe arrivato all'area di disboscamento.
Si controllò al fianco per assicurarsi ce il coltello militare donato a lui da un fratello che aveva combattuto con lui fosse li e con il pensiero volò sino a lui, ed agli altri fratelli che con avrebbe mai più visto perchè ormai tra le stelle. Essi avevano salvato il mondo un'ultima volta in quella battaglia finale in cui lui si era schierato con il nemico solo perchè non era stato abbastanza forte da batterlo da solo. Questo gli avevano insegnato, che l'unione fa la forza, fidarsi degli altri è l'unico modo per vincere. Da quel giorno lui lo capì e costretto su quel pianeta che forse avrebbe voluto lasciare ha imparato ad accettarsi ed accettare, lottare certo per cambiare ma fedele sempre e comunque alla propria famiglia. Guardò in celo tra le fronde degli abeti, la luna ormai azzurra come il cielo intorno a lei era un occhio e lo guardava. Loro lassù, loro altri quaggiù, entrambi  guardiani di un popolo affinchè non si dimentichi, affinché la pace possa durare. La via era lunga e fredda. Il russo accelerò il passo. Anche quel giorno avrebbe combattuto la battaglia più dura di tutte, quella della vita, e avrebbe spezzato come sempre tutti quelli sul suo cammino, e se ce ne fosse bisogno avrebbero aiutato di nuovo l'umanità e sconfitto gli spaziali, perchè in un  modo o nell'altro non smetteranno mai di lottare, loro, i Pilastri della Terra!

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